Dopo una notte di riflessione, con la sicurezza data dall’aver ancora in mente le melodie, i volti, le parole, ma altresì con la dovuta calma, posso ben capire il motivo per cui il pubblico, alla visione di La La Land, si sia diviso a metà: il film è/non è un musical convenzionale, è/non è una commedia romantica, è/non è un capolavoro assoluto, ma sicuramente è un film necessario.

Questo è il secondo film del giovanissimo Damien Chazelle, giovanissimo regista già fattosi notare ai più per Whiplash (2014), dal quale possiamo già individuare temi comuni e contrastanti: l’evidente amore per la musica, quella viva quale è il jazz, la passione e la determinazione, sono corde che sempre più ricorsivamente Chazelle sfiora nei suoi film; ma se con Whiplash i toni erano più opprimenti, frenetici, crudi, rappresentati bene da quell’aria chiusa e stressante che si respirava in conservatorio per colpa del tiranno direttore d’orchestra (interpretato magistralmente da J.K. Simmons, vincitore tra l’altro di un Oscar e presente in un simpatico cameo in La La Land), con il suo ultimo film non è così.

La leggerezza che ci si porta dentro, una volta usciti dal cinema, la si deve in primis alla trama lineare e vivace, forse però un po’ frivola, per la quale appunto perde punti.

L’evoluzione della storia segue dapprima un andamento ciclico, scandito dalle stagioni che si passano il testimone: nella prima parte, inverno, veniamo a conoscenza dei due protagonisti: Mia (interpretata da Emma Stone), un’attrice in cerca di fortuna e Sebastian (interpretato da Ryan Gosling)., un pianista con le sue (discutibili, a mio modesto parere) idee di jazz. Il clima rigido e freddo dell’inverno è coerentemente rappresentato dall’umore dei due protagonisti: abbattuti dalle difficoltà della vita ma non sconfitti totalmente, conservano nel loro animo la speranza di poter un giorno veder realizzati i propri sogni.

La primavera rende loro possibile incontrarsi e conoscersi, non dopo alcune difficoltà: il carattere chiuso e ostinato di Sebastian non facilita l’interesse che Mia fin da subito dimostra. Ma le aspirazioni affini porteranno i due ad amarsi intensamente ed a lavorare assieme per realizzare i loro progetti.

In estate Mia e Sebastian vivono e accrescono il proprio amore, incontrando via via soddisfazioni: Mia inizia a scrivere uno spettacolo con lei stessa unica attrice, Sebastian entra a far parte di un gruppo non esattamente jazz, previo invito e insistenza del vecchio amico Keith (interpretato da John Legend), portandolo al successo.

Queste strade inizialmente sembrano portare felicità nella vita dei due; in realtà, come si scopre in autunno, convergeranno ad un punto di non ritorno. L’idillio vissuto in estate ormai è passato, bisogna affrontare le pesanti responsabilità, i frenetici ritmi di vita, le immancabili delusioni che i sogni comportano, causando così la rottura tra i due.

Separarsi, per concentrarsi sui propri obiettivi; attendere, senza vivere… attendersi, senza viversi.

Passano gli anni, ognuno ha seguito il proprio percorso: lei trova la fama come attrice e ha una famiglia, lui riesce ad aprire il locale dove poter suonare il suo jazz; ed è proprio in questo locale che i due si incontrano nuovamente, divenendo limbo dove le emozioni e i sentimenti sono confuse, dove non c’è dialogo, solo sguardi e note nostalgiche, eterni attimi di malinconia.

Il finale lascia un po’ l’amaro in bocca, i presupposti per un ritorno di fiamma c’erano tutti, ma Chazelle non è nuovo a ciò (vedi il finale di Whiplash), dimostrando nonostante alcune lacune unicamente storiografici, di saper gestire gli equilibri tra le vivaci forze messe in gioco.

Si perché se da una parte abbiamo Mia, con il suo carattere vivace, sognatore ma insicuro, dall’altra abbiamo un Sebastian intraprendente, testardo e a tratti pieno di sé. L’efficiente caratterizzazione dei personaggi, unita alla riuscita interpretazione da parte di Ryan Gosling ma soprattutto Emma Stone (son di parte), permettono una resa empatica notevole: un dovuto accento alle inquadrature strette, usate quando servivano, hanno permesso una maggiore immedesimazione nei momenti di dialogo emotivamente più forti.

Chazelle inoltre fa un uso, senza troppi complimenti, di piano sequenza, rendendo la visione più attiva e leggera; la scenografia colorata, le luci vivide, le inquadrature, i costumi son tutti un rimando al cinema e al musical hollywoodiano. Le musiche son orecchiabili, perfettamente calzanti con i vari stati d’animo.

Concludendo il film convince sotto l’aspetto tecnico e interpretativo, fa storcere il muso la storia e le scelte (più in generale le idee) di Sebastian; nella sua spensieratezza e leggerezza, offre molti spunti su cui riflettere, senza risultare scontato.

Voto: 7+

a.

6 pensieri su “La La Land: un elogio alla speranza.

    1. Penso che la storia sia, più che banale, semplice e leggera, in linea con le musiche, le immagini e più in generale i toni del film. Nonostante ciò immagino che si potesse fare assolutamente qualcosa di più “avvincente” e/o profondo. Su Emma, nulla da dire, è troppo brava!

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  1. Da non esperta di cinema (non lo sono per niente, non sono nemmeno una che si possa definire appassionata) l’ho amato tantissimo! L’ho trovato molto commovente e la storia non l’ho trovata banale: lieve sì, ma una leggerezza che ha secondo me molto del realistico e quotidiano. Anzi credo il finale gli abbia evitato buona parte di banalità, nella sua amarezza.
    😦

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    1. Sono assolutamente d’accordo con te: la storia non è banale, anzi è molto delicata e leggera. Un po’ come la leggerezza di Calvino, non come superficialità ma come assenza di macigni sul cuore. Nel senso che entrambi i protagonisti non vogliono vedere l’altro non realizzare il proprio sogno e quindi, proprio per questo, liberano l’altro dal “macigno” della presenza e lo lascia libero di volare e di realizzarsi. Il finale, per quanto abbia in un certo senso deluso molti, a me è piaciuto proprio perché non è caduto nel prevedibile riuscendo così a evitare la banalità e allo stesso tempo spiazzare lo spettatore.

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